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L’Enneagramma e i Vestiti Vuoti

Un viaggio nell’essenza dell’anima umana tramite le passioni e gli archetipi rivelati dai costumi teatrali


Avviciniamoci a quell’antica descrizione di San Cirillo di Gerusalemme:

«Vi siete tolti la tunica, era l’immagine del vostro spogliarvi dell’uomo vecchio e delle sue azioni… vi siete allora ritrovati nudi… Non vi è permesso di portare quella vecchia tunica perché chi si è spogliato una volta non se ne riveste più».

Parliamo qui di un cambiamento radicale. Se il cosmo che conosciamo è dominato dalle relazioni combinatorie del sensibile con l’extrasensibile, del simbolo con il segno, del bios e del logos – se tutto questo è realmente vissuto da chi persegue la profondità della conoscenza del Sé – allora sarà importante distinguere la percezione immediata e quotidiana, dall’esperienza simbolica ed iniziatica (o psicoterapeutica). Spogliarci delle nostre strutture caratteriali, dismettere le abitudini del carattere, la nostra cristallizzata visione del mondo, il nostro vecchio costume sviluppato in tenera età, pur di adattarci all’ambiente in cui siamo cresciuti, abandonare la maschera della passione proprio come fosse un costume teatrale è davvero impossibile! Questi sono i nostri stati emozionali, hanno condizionato la nostra personalità hanno formato e strutturato il nostro ego ed operano prevalentemente a livello inconscio. Vi è però una teoria della personalità elaborato dallo psichiatra Claudio Naranjo che ci ricorda:

«Noi siamo sì, ma non abbiamo veramente l’esperienza d’Essere, non riconosciamo chi siamo! Osservando meglio la nostra esperienza vera, scopriamo che al centro, sotto i nostri vestiti, nel cuore vi è una mancanza di sostanza, un doloroso vuoto d’Essere».

Ecco un altro approccio; lo studio ed il riconoscimento proprio della veste che indossiamo, del ruolo che interpretiamo, della personalità di cui ci vantiamo, vedendolo chiaramente come solo un costume, ed un nostro bisogno di apparire… necessario certamente – ma da distinguere dalla disperata nostra ricerca di ben altro, di quell’ «Esperienza d’Essere» di cui parla Naranjo.
Si apre a Roma fra qualche mese una mostra della pittrice, Antonella Cappuccio, è una proposta singolare perché espone nove quadri di costumi teatrali svuotati dell’essere umano, assente colui che avrebbe indossato il personaggio. Sono nove tipologie di personalità (Naranjo le avrebbe riconosciute come i nove Enneatipi) che nella storia della letteratura e del teatro hanno lasciato un loro segno indelebile, un chiaro esempio di carattere archetipale. Antonella Cappuccio le espone, rendendole disponibile perché ognuno di noi abbia la possibilità di «in-vestirci»: di vedere in essi rappresentati il proprio carattere, di consentire l’ analisi, la ricerca, il riconoscimento sincero del proprio ruolo nella vita… e di capire come ha nel quotidiano indossato un falso personaggio, una apparenza, che qui inequivocabilmente rivela il vuoto interiore.

Chi meglio di un costumista potrebbe conoscere – quando aiuta a vestire l’attore che sta per andare in scena – la forza e l’immagine che sprigiona il velluto broccato, la seta… il ricamo, il merletto, il bottone, oppure le perline cucite con cura… Chi potrebbe sognare il senso, chi accompagnare il gesto fluido ed immaginare la traccia nell’aria che verrà lasciata da quella presenza – mentre il corpo dell’attore poi passato oltre, lascia dietro di se, solo nella trama della stoffa, la scia del suo profumo e del suo sudore?
Quando con ago e filo, la sarta prepara il costume con consapevolezza, medita non tanto sul “passeggero” che lo indosserà, ma piuttosto si rifà all origine del dramma, all’ energia della maschera, alla Persona drammatica, e ritorna a cogliere il sentire, il pensare e l’agire dell’Archetipo. Così si accosta a quel ruolo, fisicamente lei (più di chiunque) che lavora manualmente, pur di entrare intimamente nei panni del personaggio!

Antonella Capuccio prima come costumista ma poi come pittrice, ci confronta quindi, non con l’attore che andrà in scena, ma con il suo “Carattere” oramai rappresentato solo dal “Costume”. Rivela nella stoffa, nel tessuto, l’entusiasmo, l’orgoglio, la tristezza… i meccanismi base della biologia umana, il filo che unisce il disegno fondamentale del comportamento. La continuità e la ripetitività dei tratti psicologici caratteriali vengono qui raccolti in tipologie riconoscibili (in personaggi teatrali). Queste vesti ci comunicano l’essenza di un comportamento quotidiano, le abitudini, le risposte automatiche, i manierismi, gli aspetti compulsivi e i condizionamenti… che abbiamo tutti! Incarnano per noi questi costumi delle tipologie psicologiche in cui ognuno di noi potremmo riconoscerci. Ma Antonella, i costumi le ha trascinati via dal palcoscenico, ce le ripropone animati di vita propria – e disabitati – come per descrivere allo stesso tempo, un fondamentale senso di assenza! Sembra che evoca Antonella Cappuccio, nel “Personaggio” che dipinge, proprio questo Vuoto d’Essere, di cui parla Naranjo, cosi rivelandoci la differenza gerarchica fondamentale fra l’Essere e il Personaggio apparente. Ci porta a contatto con la nostra vacuità interiore – perché è spesso la mancanza ed il dolore che ispira la nostra motivazione “passionale” per riempire lo spazio dei vestiti della vita! Incarniamo vari ruoli, varie professioni, vari uniformi – pur di manifestare con gesta grandiosa una nostra personalità, pur di rappresentare un nostro carattere, ed apparire come un personaggio nel mondo.

Vanità


Inizialmente con pudore e grande autenticità Antonella si presenta con il dipinto “Che mi metto sta sera”: Nuda, di schiena una donna si rivolge allo specchio, accostando al proprio corpo un vestitino blu. La donna si propone come ipotesi, riversando invece nello specchio la luminosa trasformazione immaginata; una se stessa vista dagli altri! È l’unico dipinto in cui appare ancora un corpo in dialogo con il vestito, il quale, però, già impone il proprio protagonismo! Riconosciamo il costume, che poi maschera la donna, e nel momento in cui vi si identifica, farà nascere in lei la passione della vanità. Perché è proprio secondo la dimensione con cui ci identifichiamo col costume, che dimentichiamo chi siamo.

Lussuria


Diversamente Clitemnestra; l’estrema passione della sottoveste colorata di rosso sangue, trattenuta da una filigrana d’oro intessuta di ricchi gioielli: Macabra, la veste della regina di Micene, sembra lacrimare dagli occhi della maschera di Agamennone. L’intensità vendicativa della sua forza, della sua autonomia ed il dolore del suo veleno si srotola serpentinea attraverso i suoi bracciali dorati! La Persona è spinta da una forma di lussuria; dallo sforzo sensuale di punire…. di agire… di trionfare – e sadica attende il momento del riscatto, per riaffermare la sua giustizia e riequilibrare l’umiliazione ed il dolore del vuoto-lutto interiore, per la perdita della figlia Ifigenia.


Orgoglio


Il costume di Casanova, nel film di Fellini in questo caso, introduce con grande eleganza l’orgoglio, che nasce però come impulso ad inseguire il proprio valore, una ripetitiva e compulsiva ricerca per ovviare un intimo senso di insignificanza, dovuto ad una mancanza d’amore originale. Orgoglio intellettuale, come compensazione per la percepita mancanza di riconoscimento.
Il vestito scuro, la perfezione del taglio, l’onorevole aspetto esteriore nasconde però la disperazione libidinosa del seduttore… l’esasperata conquista (ogni volta) della fredda meccanicità del sentimento. Sembra che egli percepisca comunque la crudeltà e la sofferenza di chi viene preso in giro, e la tenera attenzione – poi qui da Antonella evidenziata – per la bambola meccanica, quasi fosse lo sfondo del suo dolore, rivela l’ingenuità del suo tentativo di rendere reale ciò che in realtà è finta!

Rabbia


Il vestito di Lucio, dell’Asino d’oro, trasuda la luce attraverso i fili di bianca lana grezza. È la veste di un sacerdote di Osiride, la veste della virtù, del potere filantropico. Ma la sua disciplina, l’inibizione della spontaneità, la correzione dell’errore, la limitazione del piacere e l’esigere un perfezionismo irraggiungibile diventano (e dalla magia vengono palesati) una distorsione; una visione deformata del mondo. Trasformato in asino, quindi, questa forma di rabbia deve scendere in strada, per ascoltare l’uomo semplice, deve scendere dal suo piedistallo ed immischiarsi nella vita disordinata, nella natura deformata, e le antiche visioni di un’antica Pompei si squarciano come incubi colpevolizzanti finché, imparata la lezione, il protagonista non verrà di nuovo ristabilito nella sua veste umana.


Gola

Arlecchino; un salto di entusiasmo intensamente colorato, le braccia tese verso la soddisfazione del proprio desiderio. Il costume della commedia dell’arte si spacca nello sforzo acrobatico; nel gesto generoso, bramoso ma soprattutto nella gola, di inseguire insaziabile, ogni sua fantasia. Questo personaggio tende in tutti i modi a manipolare la banalità del reale, che sembra brillare di
così poca luce, pur di ritrovare appetito e piacere. La povertà percepita (infatti il palcoscenico incolore viene disatteso, oltrepassato, nello slancio del ruolo verso l’altrove…) cerca di superare il suo proprio vuoto interiore, la sua fame! Questo tentativo fraudolento di riempire la sua insufficienza, con il cielo ideale delle possibilità, fa staccare le sue braghe, fa dimenticare la pulsione dell’istinto, lo porta sempre più lontano dai sensi, dal realizzabile, lontano dalla consapevolezza di essere presente alla vita!

La ricerca di una abbondanza immaginata là fuori, lo distacca in realtà da se stesso, dalla sua comunità e dall’appartenere agli affetti veri che potrebbero essere profondi e significativi.

Avarizia

Ulalume: una ala si disperde fra le presenze inquietanti, e gli spiriti che infestano le esalazioni mefitiche nell’immagine di uno stagno nella poesia di Edgar Allan Poe. Il paesaggio immaginato da Antonella Cappuccio è rosso vulcanico, mentre la “presenza” del protagonista, rimane visibile solo nella cura delicata che la pittrice qui dedica alle piume. L’ala di Psiche, l’ala dell’anima del poeta, sembra protettiva, morbida e gentile nel suo librarsi sopra uno schizzo d’uomo ossessionato. È l’ala di un angelo custode che cura la scena! I lacci che una volta potevano legarla ad una storia, ad un incubo si sono distaccati e l’energia che viene sprigionata, la isola. Ecco la passione di chi necessita di una estrema autonomia e pur di ottenerla si rinchiude nella propria idea di se stesso; nell’avarizia della sua introversione. Un distacco patologico dalle emozioni inquietanti, una inibizione dei bisogni primari, un trattenere ed un evitare ogni azione, ciò che porta solo all’impoverimento dell’esperienza e alla sterilità polverosa del significato…!

Paura


Don Chisciotte fa avanzare la sua armatura, l’aspetto più concreto del travestimento della sua incredibile fantasia. Vecchia, ma nobile difesa dei valori cavallereschi del passato, il metallo scintilla nella luce del sogno. Quasi trasparente, dietro di lui però la paura agita una spada con gli occhi chiusi, come se stesse dirigendo una orchestra di favole, e tutt’intorno libri, romanzi, che sprigionano donzelle in pericolo, mostri gentili ed amori stilnovisti… É il Costume che rivela l’ansia ed inibisce tutti gli impulsi all’azione vera; quella spontanea. È la paura d’Essere che immobilizza, nell’insicurezza, nell’indecisione alla fine nella paranoia, creata dall’ immaginazione stessa. Ma questa passione che in certi, viene ad “investire” il carattere diventa anche rigida ed intollerante aderenza ad un codice di regole, ad una autorità implicita ed intransigente come in questo caso sono le antiche regole che dirigono il Cavalier Errante.

Invidia

Con la Lettera Scarlatta entriamo nell’analisi della passione dell’invidia e la ricerca della felicità attraverso il dolore. II vestito nero – la protagonista- meravigliosamente articolata in ogni suo dettaglio con i bottoni di stoffa intrecciata e il pizzo decorativo che disegna straordinarie ed intricate ragnatele di cotone. Tutto per coprire la vergogna e la colpa dell’’Adulterio. Tutto per velare con dignità e rigidità puritana il simbolo del peccato che rende dipendenti. In questo carattere sentiamo la vera disperazione del mendicare, per riempire la mancanza, La passione insegue l’irraggiungibile, ma ricade sempre nella percezione della sua propria scarsità e della sua indegnità, soffrendo una tortura cosciente. L’immagine però ci offre anche la risoluzione di questo senso di colpa; la “lettera scarlatta” si trasforma in un cardellino libero e il peccato, la bambina, emerge affascinata per inseguire un suo destino incarnando l’amore per se, la cura e finalmente l’auto-sostegno.


Indolenza


Papagheno, di memoria Mozartiana, non sa d’essere vuoto, si crede fatto di cielo piuttosto ed ospita gli uccelli dell’aria liberati dalle loro gabbie. Si immedesima nei loro panni, nel loro piumaggio coloratissimo e vive in una sorta di Nirvana campagnolo dove inconsapevole, procrea continuamente. Difronte la vita però la sua pigrizia, il suo spirito narcotizzato, in realtà rivela un atteggiamento eccessivamente terrestre, un’adattabilità pesante che si perde nella distrazione, e che confonde giovialità, mediazione e pacifismo con una sorda inconsapevolezza. É alienato da se stesso, dimentico del suo vero destino perché troppo doloroso da sostenere, tutta la sua esperienza é troppo duro da vivere senza assentarsi , e nell’oblio di se stesso- si protegge, rifugiandosi nella passione dell’indolenza!


Consapevolezza al tramonto


L’Enneagramma dei tipi psicologici è una “mappa” che descrive nove tipi di personalità, il rapporto con il mondo, le propensioni, nonché le predisposizioni evolutive sulla base dei propri punti di forza e le proprie aree di miglioramento.


Abbiamo quindi esplorato questi tratti ritrovandoli nei vestiti – archetipici dipinti da Antonella Cappuccio per ritrovare non una mera classificazione, ma un modello in cui ogni enneatipo senza essere migliore o peggiore degli altri, è semplicemente parimenti differente e pertanto unico nella sua dinamica. Sono tutti questi caratteri, ricchi di potenzialità e, a seconda della propria evoluzione o involuzione, tendono verso un certo tipo di positività o di negatività caratteristiche. Possiamo ritrovarci in ognuna di essi per scoprire come spesso ad un livello inconscio un centro emozionale (la passione) più dell’altro, motiva ed influenza la nostra attività e la struttura stessa della nostra personalità.

Le passioni degli Enneatipi sono, rabbia, orgoglio, vanità, invidia, avarizia, paura, gola, lussuria, indolenza; ci accompagnano lungo tutta la vita ma da esse possiamo distanziarci diventandone consapevoli e con un sorriso accorgerci quando proprio il carattere ha preso dominio su di noi, per temporaneamente «svestirci» e con distacco osservare il nostro costume. Alla fine però, ritornando all’idea mistica dei viaggi dello spirito, e la speranza di svestirci del nostro ego, ci troviamo invece di fronte al paradosso di dover convivere con la limitazione, il condizionamento doloroso, il costume teatrale della nostra libertà d’essere.


Al tramonto, il nostro viaggio con Antonella sembra proseguire in veliero, attraverso le acque del mare che – riacquisite la calma, la serenità dopo la furiosa battaglia delle forze della natura, respira una nuova stagione. Le vesti di Prospero volano, abbandonati, dismessi davvero! Non pretendono più di gonfiarsi animatamente in una qualche espressione passionale, non più soggetti alla schiavitù dell’ego, al controllo di uno spirito che debba possedere la loro trama, ne prender forma sotto un velo caratteriale, i panni del mago si liberano.

Ecco l’utopia di Shakespeare che fa dire allo Sciamano Prospero nell’ultima sua opera
teatrale:

They are melted into air, into thin air… We are such stuff as dreams are made on!
(Prospero, The Tempest, Shakespeare)

 

 

La Consapevolezza, una saggezza effimera, cangiante ed intangibile come il miraggio delle vesti di Prospero non più potrà essere imbrigliata per manipolare gli incantesimi – ma dismesso con umiltà, l’ego viene perdonato, e con distacco viene rilasciato ogni pretesa di potere su chiunque, perché la persona integrata invece possa finalmente abbandonarsi all’amore e alla compassione della vita e al sollievo della guarigione.